Il sesso di Salon Kitty è un inestricabile coacervo di attrazione e repulsione e anche una gigantesca metafora del potere. L'erotismo del film vive una sorta di doppia personalità: da un lato ci sprofonda in un antro oscuro di abiezioni e psicopatologie; dall'altro ci solleva su terreni imprevedibili di sensualità e struggimento. La conclusione però è di una semplicità tanto nera quanto cristallina: il potere è mostruoso. Concetto che Tinto Brass ribadirà con uguale tenacia nel successivo Caligola. Oltre a incoraggiare ovvi rimandi col Luchino Visconti della Caduta degli dei (e non solo per la presenza di Helmut Berger e Ingrid Thulin), Salon Kitty nutre il proprio immaginario lussuoso di schegge di espressionismo, folate di decadentismo e colpi d'ala fantasmatici di Freud e Nietzsche. Tinto Brass sarà pure un poeta del cinema erotico: ma a patto che non consideriamo la poesia un passatempo lezioso. Seconda apparizione cinematografica di uno dei simboli della liberazione sessuale dei primi anni settanta, Teresa Ann Savoy.